Il (dis)ordine da ricomporre

Mauro Magatti

010322 Avvenire

Riportando la guerra nel cuore dell’Europa, Vladimir Putin ha definitivamente rotto l’ordine liberale globale sorto dopo la caduta del muro di Berlino. Non a caso, nei suoi proclami, il presidente russo ha più volte richiamato la situazione pre-1989. Di fronte a un’aggressione armata di un Paese indipendente è necessario che l’Occidente dia una risposta ferma ed efficace. Mattarella, Draghi, Ursula von der Leyer, Macron, Scholz e, ovviamente, Biden, tutti concordano su questa necessità. Adesso servono i fatti, senza esitazioni e divisioni. Con la sua azione sciagurata, Putin intende testare la resistenza dell’Occidente.


La nostra debolezza lo convincerebbe a continuare la campagna ben oltre l’Ucraina: Moldavia, Estonia Lettonia, se non addirittura Polonia, Romania, Finlandia potrebbero entrare nel mirino. Serve dunque una risposta ferma e proporzionata alla gravità di quello che sta accadendo; ma, al tempo stesso, capace di parlare un linguaggio diverso e così di sparigliare nuovamente il gioco che Putin ha voluto imporre. E l’obiettivo deve essere prima di tutto quello di indebolire il sostegno interno del presidente russo, convincendo chi gli sta intorno – e soprattutto il popolo russo – che l’iniziativa della guerra è sbagliata e porta solo danni a tutti.

Non sarà facile, ma è necessario farlo. E tuttavia non basterà. Nel rispondere a Putin, l’Occidente deve saper guardare l’emergenza nella prospettiva del futuro che si vuole costruire per rimettere insieme i cocci di ciò che Putin ha mandato in frantumi. Il tema è il nuovo scenario geopolitico mondiale che potrà seguire i fatti di questi giorni. Non serve all’Occidente arroccarsi nel sostenere di aver ragione. Occorre invece essere capaci di isolare la Russia putiniana coinvolgendo tutti gli altri Paesi – a partire dalla Cina – attorno all’idea di un ordine mondiale nuovo.

Occorre un salto di piano, che ridefinisca la cornice degli equilibri internazionali al di là di quanto Putin sta cercando di imporre. Veniamo da trent’anni in cui l’ordine liberale globale non ha avuto alternative. Questa stagione ha portato prosperità in tanti Paesi, ma ha lasciato anche molte scorie. Sono stati commessi molti errori – Iran, Iraq, Afghanistan, Libia – tanto per citarne alcuni. Ma soprattutto, l’Occidente è stato semplicistico nel pensare che l’economia e la tecnologia sarebbero bastate per unificare l’intero pianeta. Non possiamo non sapere che, in molte zone del mondo, l’Occidente, e in particolare gli Stati Uniti, non gode di buona stampa.

C’è risentimento che nasce da un misto di odio nei confronti del più forte e di rifiuto di un ordine asimmetrico. Soprattutto le aree con una più lunga tradizione storico-culturale si rifiutano di sottomettersi all’egemonia occidentale. Nel rispondere a Putin è, dunque, importante non solo dare il senso dell’unità nell’opporsi a iniziative che rischiano di essere devastanti: è ugualmente necessario riuscire a esprimere la saggezza di chi capisce che i temi della libertà, della democrazia, della pluralità non vanno giocati solo all’interno, ma anche sull’intero scenario globale. In un mondo interconnesso, eppure molto diversificato, occorre sviluppare un’effettiva capacità di dialogo.

Che significa riuscire a creare le condizioni per ascoltare, prima che diventino esplosive, le ragioni di tutti. Cercando nuovi punti di equilibrio, più avanzati di quelli che abbiamo costruito fino a oggi. A partire da alcuni limiti di metodo (la diplomazia, la cooperazione, il diritto internazionale) e di contenuto (la dignità dei diritti di ogni persona e l’integrità di ogni Stato indipendente). Rispetto a una settimana fa, il mondo non è più lo stesso. E bisogna cominciare a gettare le basi di un nuovo ordine globale, che riconosca il valore delle diverse culture presenti nel mondo, nel quadro di vincoli e interessi comuni (a cominciare dalle materie prime, dall’energia, dalla salute, dalla sostenibilità, dalla libertà religiosa).

Per fare questo è necessario avere in mente un’idea che ci ha lasciato in eredità Raimon Pannikar il quale distingueva tra il ‘dialogo dialettico’ – che, mettendo tesi contro antitesi, punta a sottomettere o neutralizzare l’altro, in una logica che mantiene un fondo bellico – e il ‘dialogo dialogico’, inteso come un processo aperto che tende verso un risultato terzo, al di là delle posizioni di partenza, in grado di cambiare tutte le parti coinvolte.

È la capacità di aprire una relazione con ciò che non è ancora – appunto, un nuovo ordine mondiale – senza limitarsi a ripristinare lo status quo la posta in gioco di questi giorni. Lavorando per la generazione di una realtà nuova, della quale tutti gli interlocutori coinvolti siano artefici. Nell’ordine del ‘dialogo dialogico’, l’idea dì libertà – di cui l’Occidente giustamente vuole essere paladino – sostiene un soggetto capace di cambiare se stesso e così la realtà circostante. Senza ingenuità o irenismi. Ma con tutta la determinazione che ci vuole in un momento drammatico e cruciale in cui i margini di dialogo con Putin sono quasi nulli. Ma si può lavorare con i Paesi interessati alla pace.

A cominciare dalla Cina che va portata dalla parte dalla parte della ragionevolezza. Si è innescata una dinamica pericolosissima, che può portare il mondo intero nell’abisso. Ci vuole molta, molta saggezza per riuscire a disinnescare la bomba. È questo il difficile compito a cui è chiamato l’Occidente.

Mauro Magatti
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